Bot Room: "Il Grande Colpo di Crimson City" con Davide Morosinotto e Pierdomenico Baccalario

 

La Bot Room è la stanza dove rinchiudiamo ogni tanto qualcuno da uno dei nostri rami – autori, illustratori, grafici, editor, project manager... – per quattro chiacchiere informali, più o meno! Oggi tocca a Davide Morosinotto e Pierdomenico Baccalario, che ci raccontano un aneddoto interessante dietro "Il Grande Colpo di Crimson City". Non perdetevi questo duello, ehm... intervista doppia!

 

 

Come vi chiamate?

B: Pierdomenico Baccalario.
M: Davide Morosinotto.

 

Che lavoro fate?

B: Scrivo libri per ragazzi.
M: Idem.


Siete amici?

B: Prima di questo libro, lo eravamo.
M: Lo siamo ancora, non date retta.


In che senso, prima di questo libro? Di che libro si tratta?

B: "Il grande colpo di Crimson City", pubblicato da Salani. Anche se per noi, per cinque anni, è stato soltanto "The Duel".
M: È un romanzo western. Parla di un villaggio sperduto nel deserto. Un posto dove non succede mai niente di interessante. Finché un giorno nel villaggio arriva un pistolero che si tira dietro una cassa morto. E nella cassa da morto c'è una ragazza viva...
B: Questo è il libro come è oggi. Ma all'inizio parlava di un viaggio. 



Quale viaggio?

B: Il libro raccontava la storia di una ragazza Piper, e un ragazzo, Roy, che si mettevano in viaggio per attraversare tutti gli Stati Uniti e arrivare nel famoso villaggio sperduto eccetera. E poi...
M: Poi non sapevamo che cosa sarebbe successo. Un duello? Un assassinio? Una rapina in banca? Un grande amore? Un assalto al treno? Tutte queste cose insieme?

 

Sembra una bella storia. L'avete scritta?

B: Sì, tutta quanta. Solo che non riuscivamo a decidere come farla finire. Un duello? Un assassinio? Una rapina in banca...?
M: Alla fine, dopo cinque anni di lavoro, ci siamo guardati in faccia. Abbiamo deciso che il libro non funzionava. O meglio, non era stupendo come noi speravamo che fosse. Così lo abbiamo buttato via e ne abbiamo scritto un altro. E adesso il viaggio non c'è più, parla solo di quel che succede in città.
B: Capite perché non siamo più amici... Mi ha fatto buttar via un libro intero.
M: Ma ora è migliore.
B: Lo dici tu...

 

Piano, piano, non litigate. 

B: Noi non litighiamo mai. In vent'anni che ci conosciamo, non è mai successo.
M: Al massimo ci sfidiamo a duello. Come fanno i cowboy. In fondo questo libro era nato proprio per questo. Per sfidarci.


Cioè?

B: Cioè l'idea originaria era che io avrei scritto tutte le parti di Piper, Moroz tutte le parti di Roy, e nel finale solo uno dei protagonisti avrebbe "vinto"... Qualsiasi cosa ci fosse da vincere.

M: Forse il problema era proprio questo, sai, ora che ci penso? Era diventato un libro troppo competitivo. Forse non mi piaceva tanto per questo.


E quindi, come l'avete scritto, alla fine?

M: Come forse avremmo dovuto fare fin dall'inizio. Collaborando di più. Abbiamo deciso nel dettaglio che cosa sarebbe successo a entrambi i personaggi. 
B: Dopodiché Moroz ha scritto tutto dall'inizio alla fine. Me l'ha mandato, senza neanche rileggerlo. E io l'ho riscritto tutto dall'inizio alla fine.
M: È la tecnica che io chiamo "Oh, mio capitano", dal film "L'attimo fuggente" (per chi è abbastanza vecchio per ricordarselo). Richiede una grande fiducia.
B: Il primo deve fidarsi del secondo, che non gli rovini il libro e lo tratti bene, è una grande responsabilità. E il secondo deve fidarsi del primo, delle scelte che ha preso una pagina dopo l'altra. 
M: Per esempio, Pier ha riscritto tutto, ma non ha toccato l'incipit. Mi sarei offeso a morte, se l'avesse fatto. E lui lo sa. Insomma, bisogna essere amici, per scrivere così.
B: Ho detto che non siamo più amici.
M: Basta Pier, guarda che ti sfido a duello.